di Andrea Baranes – L’Huffington Post, 5 maggio 2015

Fonte: http://www.huffingtonpost.it/andrea-baranes/terra-viva-carta-lmilano-expo-due-modelli-confronto_b_7204042.html

Terra Viva – Il nostro suolo, i nostri beni comuni, il nostro futuro. Una nuova visione per una cittadinanza planetaria. È il titolo del rapporto a cura di Navdanya International, Banca Etica e Cascina Triulza, presentato il 2 maggio a Milano. Vandana Shiva ha coordinato il lavoro di un gruppo internazionale di esperti che hanno delineato i problemi e le sfide riguardanti il suolo, l’agricoltura, i rapporti tra finanza, economia e cibo, la democrazia. Diversi capitoli per approfondire da un lato i limiti e le contraddizioni del modello attuale, dall’altro esponendo possibili alternative, sia a livello teorico sia menzionando buone pratiche già esistenti.

Il manifesto è stato presentato nello spazio in Cascina Triulza, il padiglione della società civile, nel tentativo di aprire uno spazio di discussione e un dibattito intorno a questioni non più rinviabili, ma che purtroppo faticano enormemente a trovare la giusta collocazione nel dibattito pubblico, e ancora di più tra le istituzioni e i decisori politici. Per avere conferma di questa situazione, è sufficiente leggersi la Carta di Milano e il Protocollo di Milano , due documenti elaborati proprio in vista di Expo e che, secondo i promotori, avrebbero dovuto mettere sul tavolo le principali questioni da affrontare in materia di cibo e agricoltura.

Peccato che, se le premesse e le introduzioni dei due documenti sono sicuramente condivisibili, l’analisi è a dir poco debole su diversi aspetti di importanza fondamentale. In molti casi sembra mancare la volontà di individuare le cause profonde dei problemi esposti e il coraggio di avanzare possibili soluzioni. Vengono evidenziati alcuni inaccettabili paradossi, come lo spreco di alimenti a fronte delle centinaia di milioni di persone denutrite; il ruolo dell’agricoltura sostenibile mentre una parte crescente dei raccolti è destinata alla produzione di biocarburanti; la coesistenza tra obesità e fame su scala mondiale. Nel momento in cui si identificano tali priorità, colpisce ancora di più l’assenza di un’analisi più specifica.

Se ci sono delle disparità, anzi dei “paradossi” così macroscopici e inaccettabili, non sarebbe forse il caso per lo meno di interrogarsi su quale modello commerciale e di distribuzione del cibo si è affermato negli ultimi trent’anni? Nei due testi, invece, non viene mai menzionato il WTO o gli altri accordi di liberalizzazione del commercio, e il loro impatto in ambito agricolo. La parola “commercio” compare un’unica volta nella Carta, per promuovere un “commercio aperto”, e un’unica volta nel Protocollo, quando si afferma “l’impossibilità per molti paesi poveri di trarre correttamente e sufficientemente beneficio dal commercio”. Come dire che non è sbagliato il modello attuale, ma il problema è che non tutti riescono a fruirne in modo “corretto”.

Ancora, non vengono mai menzionati gli oligopoli e i giganteschi problemi lungo tutta la filiera, dove a fronte di miliardi di piccoli produttori e di consumatori, spesso pochissime multinazionali controllano i prezzi e la distribuzione. Incredibilmente, di filiera e di distribuzione si parla unicamente nella parte relativa alla riduzione degli sprechi. È possibile trattare i problemi dell’agricoltura e dell’alimentazione senza menzionare il fatto che 5 multinazionali controllano il 60% del mercato mondiale delle sementi? 6 imprese il 76% di quello dei pesticidi? 3 sole multinazionali si spartiscono oltre il 60% del mercato del cioccolato? È possibile trascurare del tutto l’impatto della grande distribuzione che si accaparra quote crescenti di mercato, troppo spesso spazzando via sia i mercati locali sia i piccoli contadini che non possono garantire tempi, prezzi e modalità di produzione imposte da tali giganti?

Perplessità simili sorgono analizzando la parte dedicata alla speculazione finanziaria su cibo e materie prime. Nella Carta di Milano non compaiono mai né la parola “finanza” né “speculazione”. Almeno il Protocollo di Milano accenna a tali questioni, anche se colpisce che meccanismi che hanno impatti devastanti tanto sui consumatori quanto sui produttori vengano relegati al punto f) del punto vii) del secondo impegno, quello sull’educazione. Davvero la speculazione finanziaria è considerata una cosa tanto marginale e unicamente una questione di “educazione”? Nel merito, i firmatari chiedono “la sensibilizzazione delle banche, dei fondi pensione e delle assicurazioni sulla questione, affinché possano gradualmente astenersi dallo speculare sulle materie prime alimentari”. Complimenti per la delicatezza con la quale cortesemente si chiede, se non arreca eccessivo disturbo, di astenersi gradualmente dal ridurre alla fame milioni di persone scommettendo sulla loro possibilità di sopravvivere.

L’elenco potrebbe continuare. A volere proprio vedere il bicchiere mezzo pieno, se non altro alcuni degli attuali problemi vengono inquadrati e si ipotizzano delle prese di posizione. Di fatto, si potrebbero però rispettare alla lettera tanto la Carta quanto il Protocollo e continuare a scommettere sul prezzo del cibo esattamente come fatto negli ultimi anni. Così come non vengono rimessi in alcun modo in discussione i sistemi di brevetti sui semi e le conoscenze contadine, gli oligopoli e i disastri dell’attuale modello distributivo, il fallimento degli accordi commerciali, le vergognose disuguaglianze su scala globale. Sono questi i motivi che rendono ancora più importante la scrittura e la diffusione di un documento come Terra Viva. Non basta dire genericamente che riguardo cibo e agricoltura esistono alcuni problemi e ineguaglianze. Servono coraggio e visione per un radicale cambiamento di rotta in materia finanziaria, economica, commerciale, ambientale. Come dichiarava Vandana Shiva “Expo avrà un senso solo se parteciperà chi s’impegna per la democrazia del cibo, per la tutela della biodiversità, per la difesa degli agricoltori e delle loro famiglie e di chi il cibo lo mette in tavola“. In caso contrario, “l’Expo rischia di trasformarsi in una fiera della colonizzazione finanziaria e industriale dei campo piuttosto che un’occasione di risposta alle vere cause della fame”. Due modelli a confronto. Occorre scegliere da che parte stare.