di Dr. Vandana Shiva – The Asian Age, 24 maggio 2014 / Traduzione a cura di Navdanya International
Fonte: http://www.navdanyainternational.it/index.php/vandana-pensa-che/131-il-terreno-siamo-noi
“L’affermazione che sono la Rivoluzione Verde o l’ingegneria genetica a nutrire il mondo, è falsa. Queste tecnologie sono strettamente associate alla pratica della monocoltura, a sua volta basata sull’uso di sostanze chimiche: tutto ciò costituisce una ricetta per uccidere la vita del suolo”.
Il nostro corpo è costituito dagli stessi cinque elementi – terra, acqua, fuoco, aria e spazio – che costituiscono l’Universo. Noi siamo il suolo. Siamo la terra. Ciò che facciamo al terreno, lo facciamo a noi stessi. E non è un caso che le parole “humus” e “umano” abbiano la stessa radice.
Questa verità ecologica è stata dimenticata all’interno del paradigma dominante, perché si basa sul concetto di eco-apartheid, un’idea falsa secondo cui noi siamo separati e indipendenti della terra; falsa anche perché decreta che il suolo sia come una materia inerte. Se il terreno è morto, tanto per cominciare, l’azione umana non ne può distruggere la vita; si può solo “migliorare” il terreno con fertilizzanti chimici. E se noi siamo i padroni e i conquistatori del suolo, siamo noi a determinarne il destino. Non può essere il terreno a determinare il nostro destino.
La storia, tuttavia, ci testimonia che il destino della società e di una civiltà è intimamente collegato al modo in cui trattiamo la terra – se ci rapportiamo al suolo attraverso la Legge del Ritorno o attraverso la Legge dello Sfruttamento e dell’Estrazione.
La Legge del Ritorno – cioè del dare indietro – ha fatto sì che le società creassero e mantenessero il terreno fertile e che potessero essere sostenute da un suolo vivente per migliaia di anni. La Legge dello Sfruttamento, invece – cioè del prendere senza dare indietro – ha portato al crollo delle civiltà.
Le società contemporanee di tutto il mondo si trovano sull’orlo del collasso dal momento che i loro terreni sono erosi, degradati, avvelenati, sepolti sotto il cemento e ormai privi di vita. L’agricoltura industriale, basata su un paradigma meccanicistico e sull’uso di combustibili fossili, ha provocato un’ignoranza sempre maggiore dei processi viventi che sono responsabili della creazione di un terreno fertile e vivo. Invece di concentrarsi sulla rete alimentare del terreno (Soil Food Web), l’agricoltura industriale è stata ossessionata dagli input esterni basati su fertilizzanti chimici – ciò che Sir Albert Howard (vedi nota 1) chiamava la mentalità “NPK” (N.d.R.: dai simboli delle sostanze chimiche basilari per lo sviluppo delle piante: azoto, fosforo e potassio). La biologia e la vita sono state sostituite dalla chimica.
Gli input esterni e la meccanizzazione sono indispensabili per le monocolture: esponendo il terreno al vento, al sole e alla pioggia, le monocolture lo espongono anche ai processi di erosione provocati dal vento e dall’acqua.
I terreni con una bassa percentuale di sostanza organica sono più facilmente soggetti all’erosione, dal momento che la materia organica crea aggregati stabili con effetto legante nel suolo.
Il suolo viene eroso e disperso da 10 a 40 volte più del tasso al quale può essere naturalmente ricostituito. Ciò implica che avremo il 30% di cibo in meno nei prossimi 20-50 anni. L’erosione del suolo comporta anche il dilavamento dei nutrienti: mentre una tonnellata di terreno di ottima qualità conta in media 1-6 kg di azoto, 1-3 kg di fosforo, 2-30 kg di potassio, un terreno eroso ha solo lo 0,1-0,5% di azoto. Il costo di queste perdite di nutrienti può essere stimato intorno ai 20 miliardi di dollari all’anno.
I terreni fertili contengono 100 tonnellate di materia organica per ettaro. Una semplice riduzione della sostanza organica del suolo del 1,4-0,9 % è potenzialmente in grado di abbassare il rendimento agricolo del 50%. Le monocolture basate sull’uso della chimica rendono anche i terreni più vulnerabile alla siccità e contribuiscono ulteriormente all’insicurezza alimentare.
Inoltre, i suoli erosi e senza sostanza organica assorbono circa 10-300 mm in meno di acqua piovana per ettaro all’anno: ciò rappresenta una diminuzione dal 7 al 44% della disponibilità di acqua per la produzione alimentare, contribuendo a un calo della produttività biologica del 10-25%.
Nessuna tecnologia può pretendere di nutrire il mondo mentre si distrugge la vita nel terreno, omettendo di alimentarlo come dovrebbe, in base alla Legge del Ritorno. Questo è il motivo per cui l’affermazione che la Rivoluzione verde o l’ingegneria genetica alimentano il mondo è falsa. Queste tecnologie sono strettamente associate all’uso della monocoltura e degli input chimici, che provocano l’erosione del suolo e il suo degrado. Suoli degradati e morti, terreni senza sostanza organica, senza microorganismi, senza capacità di ritenzione idrica: queste condizioni creano carestie e crisi alimentari, non sicurezza alimentare.
Tutto ciò è particolarmente vero nell’epoca del cambiamento climatico. Non solo l’agricoltura industriale è responsabile del 40% delle emissioni dei gas serra, che contribuiscono al cambiamento climatico, ma è anche più vulnerabile al cambiamento stesso.
I terreni ricchi di sostanza organica sono più resistenti alla siccità e agli eventi climatici estremi. L’aumento della produzione di humus attraverso sistemi intensivi basati sulla biodiversità è il modo più efficace per sequestrare l’anidride carbonica dall’atmosfera, fissandola nelle piante e poi nel terreno attraverso la Legge del Ritorno.
Il suolo, non il petrolio, tiene in pugno il futuro dell’umanità. L’agricoltura industriale, basata sull’uso intensivo del petrolio e della chimica, ha scatenato tre processi che stanno uccidendo la terra – e che quindi incidono sul nostro futuro.
In primo luogo, l’agricoltura industriale distrugge la vita del terreno con le monocolture e i prodotti chimici.
In secondo luogo, un paradigma basato sul petrolio intensifica l’uso dei combustibili fossili e dà luogo a una valutazione falsata della produttività, che ci presenta come produttivo un sistema che in realtà ha un bilancio energetico negativo.
Il trucco sta nel ridurre il lavoro produttivo e creativo a “manodopera” e considerarlo come una merce, contando le persone come se fossero un “input”, senza contare invece i combustibili fossili come input. L’uso intensivo di combustibili fossili si traduce in più di 300 “schiavi energetici” che agiscono in modo invisibile dietro a ciascun lavoratore negli allevamenti industriali intensivi.
Considerare le persone come un input significa che, meno persone sono al lavoro sulla terra e più l’agricoltura diventa “produttiva”. Gli agricoltori sono distrutti, le economie rurali vengono distrutte, la terra viene svuotata delle persone e riempita di sostanze tossiche. Il lavoro creativo degli agricoltori, che sono i custodi e i rinnovatori del suolo e della biodiversità, viene sostituito dall’uso di sostanze chimiche letali.
Il lavoro creativo di essere custodi della terra e co-creatori di un terreno vivente non è un “input” in un sistema alimentare, ma il risultato più importante di un’agricoltura che ha veramente valore. Il lavoro non può essere ridotto a una merce. Neanche la Terra, non è una merce. La creare, conservare, rigenerare un terreno fertile e vivo è l’obiettivo più importante della civiltà e ha il risultato di rigenerarla.
In terzo luogo, gli agricoltori sfollati dalle campagne affluiscono come una marea nelle città. Questo non è un fenomeno naturale o inevitabile: fa parte del piano dell’agricoltura industriale. L’esplosione delle città seppellisce il terreno fertile sotto il cemento: l’equivalente di 30 campi da calcio vengono consumati ogni minuto, sepolti da cemento e calcestruzzo. Il movimento “Salviamo i nostri terreni” (SOS, Save our soils), di cui sono sostenitrice, è stato avviato da molte organizzazioni, tra cui FAO, IFOAM, Nature e altre, per risvegliare la coscienza dell’umanità riguardo all’emergenza suolo, che è anche un’emergenza umana.
Abbiamo bisogno di misurare il progresso umano non in base a quanto cemento ha sepolto il terreno, ma a quanto terreno è stato bonificato e liberato. Questo è ciò che dovrebbe significare “saugandh mujhe è mitti ki”.
I semi viventi e i terreni viventi sono il fondamento della vita e di una società durature.
Fonte:
Dr. Vandana Shiva – The Asian Age, 24 maggio 2014
http://www.asianage.com/columnists/we-are-soil-730
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